IL POZZO, LA BROCCA… E L’ACQUA DI SORGENTE

Carissimi fratelli e sorelle, della mia comunità parrocchiale e non,
anche oggi voglio condividere con voi una riflessione sulla pagina di vangelo domenicale, non perché come parroco debba dirvi per forza qualcosa, ma perché condividiamo la stessa sete della parola di Dio e spero anche il desiderio di mettere in comune quello che l’ascolto suscita in noi, per diventare gli uni per gli altri “sorgente d’acqua che zampilla”.
Dopo le domeniche della prova e della trasfigurazione, queste altre tre dell’anno liturgico ‘a’ ci mettono in contatto con l’uso antico di preparare i candidati al battesimo con la proclamazione di brani del Vangelo di Giovanni, che dovrebbero rafforzare in noi la consapevolezza di essere chiamati a vivere con gioia e impegno la vita battesimale, la vita nello Spirito.
A differenza delle altre redazioni del Vangelo, quella delle comunità evangelizzate da Giovanni offre la persona, la vita, il messaggio e l’opera di Gesù già nella forma di un itinerario che porta ad assimilare la vita nuova o vita nello Spirito, che viene da Dio, attraverso dei passaggi che da una parte portano alla comprensione di segni e opere e dall’altra all’assimilazione di quello che Gesù è e fa, e che fa vivere i discepoli da rigenerati, da illuminati, da vivificati per sempre quando arrivano a vivere il comandamento nuovo: amatevi come io ho amato voi.
Una modalità narrativa che colpisce nella redazione del Vangelo di Giovanni è appunto quella di presentare questi passaggi alla vita nello Spirito nella forma di “incontri personali” con il Signore Gesù, laddove spesso l’interlocutore è un personaggio simbolico, figura del discepolo che percorre l’itinerario, che si apre alla conoscenza/esperienza di quanto Gesù rivela di sé e che contiene i semi del non vivere più come prima (conversione) e del vivere lo stile del maestro (trasfigurazione). Approcciando alla lettura dell’incontro con la samaritana mi verrebbe subito da dire che un grosso problema della chiesa oggi è quello di aver cercato di riempire la brocca della ricerca di fede delle persone (noi compresi) di sacramenti, di dottrine, di catechesi, di insegnamenti morali… senza far nascere il desiderio dell’incontro personale con il Cristo, il solo che cambia l’esistenza. Parafrasando l’osservazione emersa nell’evento delle nozze di Cana, si potrebbe affermare che anche per noi che viviamo dall’interno l’appartenenza alla comunità parrocchiale il problema non è “non avere più vino”, ma “non avere più sete”…, e di conseguenza non sapere accendere la sete, il desiderio dell’incontro personale con Cristo, nelle persone che vengono anche solo per qualche occasione a dissetarsi al nostro stesso pozzo.
Consapevole che un brano di Vangelo non possa essere approfondito adeguatamente in così poche righe, mi limito a soffermarmi su qualche altro aspetto che mi piace sottolineare.
Colpisce che per un incontro con Gesù che offre rivelazioni così profonde, l’interlocutore scelto sia una donna (i maestri ebrei non parlavano mai con le donne in pubblico), e anche una donna eretica (samaritana) e forse persino idolatra (laddove i 5 mariti si leggano come un riferimento ai 5 monti vicini al monte Garizim, sui quali gli stranieri avevano edificato templi ai loro dei)… Proprio a lei Gesù esprime la sua sete di acqua di sorgente e non di pozzo (sia pure quello di Giacobbe)… proprio lei riceve il dono di aver sete di quella
stessa acqua viva (può quindi abbandonare la brocca)… proprio lei fa esperienza di divenire sorgente zampillante appassionando i suoi paesani all’incontro con Gesù… Proprio lei… non una frequentatrice assidua del culto, non un’appartenente alla crema della comunità, non una catechista con mandato… E proprio lei, alla fine, viene messa da parte dai suoi paesani che credono in Gesù non più per la parola della donna, ma perché anche essi hanno udito e fatto esperienza personalmente…
Cari fratelli e sorelle, spero di non urtare la sensibilità di nessuno, ma noto nella nostra comunità il pericolo della malattia del protagonismo… quando non ci si avvicenda nei ruoli di responsabilità, quando si vuole stare sempre al centro della scena, quando ci si vanta della propria brocca piena di ‘acqua di pozzo’ (nozioni, competenze, esperienze), quando in certi ambiti ci si riduce ad essere sempre i soliti…
La vitalità di una parrocchia dipende molto proprio dall’indirizzare gli assetati non alla propria brocca, ma alla sorgente!
L’impossibilità dell’acqua del pozzo di Giacobbe di dissetare quanti hanno sete di acqua di sorgente e la conseguente inutilità della brocca fanno da contorno ad un’altra dirompente provocazione di Gesù: “è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre... i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità». Il Vangelo di Giovanni ci introduce passo dopo passo a quel momento straordinario, “l’ora”, in cui ci verrà rivelato cosa significa “adorare in spirito e verità”, quando Gesù venuta l’ora di amarci fino in fondo darà la vita per noi, donandoci così lo Spirito, il principio vitale che assimila a Dio. Né spiritualismo, né dogmatismo… e neanche una religiosità basata su liturgie solenni, sfoggio di paramenti lussuosi, esecuzioni più o meno verosimili di tradizioni antiche, devozioni che saziano la fame di emozione e commozione…
Nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo Gesù ci invita a riflettere sul fatto che la verità/autenticità della nostra esistenza e la luminosità del nostro percorso verranno dimostrate non da quale religione abbiamo scelto, da quanti dogmi abbiamo creduto o da quanto abbiamo frequentato il culto e il tempio... “Venite benedetti dal Padre mio perché ero affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato…” e mi avete “adorato in spirito e verità” … cioè, amato con tutto il cuore.
Buona domenica, fra’ Mario.
2 Domenica di Quaresima

Carissimi fratelli e sorelle della mia comunità parrocchiale e non,
anche in questa seconda domenica di quaresima vorrei proporvi una riflessione, così come avrei fatto se fossi stato li presente, nella consapevolezza di esprimere solo un punto di vista che insieme a quello di ciascuno va ad arricchire quella visione d’insieme, che è un’espressione privilegiata di sinodalità.
La Liturgia ci propone la pagina evangelica della “trasfigurazione”. Se domenica scorsa ho portato la vostra attenzione sui limiti di una lettura ascetico moralistica, oggi altrettanto vorrei farlo nei confronti di una lettura devozionale, ancora tanto presente ai nostri giorni, che tende sempre a mettere Gesù su un piedistallo speciale, trasformandolo così in un oggetto di culto, da venerare e adorare, e sul piano pratico, in un modello di vita irraggiungibile nel quotidiano. Allo stesso modo, essendo un testo che ci viene proposto ogni anno almeno due volte (in questa domenica e il 6 agosto), dobbiamo stare attenti al pericolo della ripetitività, a non leggere il Vangelo con quella sorta di precomprensione che ci siamo fatti negli anni e con un atteggiamento di autosufficienza che ci porta a tirare sempre le solite conclusioni, senza riuscire ad elaborare indicazioni adeguate per questo tempo ogni giorno così profondamente nuovo.
I vangeli sinottici collocano l’evento della trasfigurazione al termine della predicazione in Galilea, dopo il soggiorno a Cesarea di Filippo dove avviene un primo “svelamento” dell’identità di Gesù: gli apostoli lo riconoscono per bocca di Pietro come il Cristo, il Messia inviato da Dio… Gesù annuncia generando il loro disappunto che essere Messia significa dare la vita per gli altri, e a questo sono chiamati i discepoli, coloro che vogliono camminare dietro di lui.
Matteo e Marco raccontano che “Sei giorni dopo…”. Una nota cronologica raramente usata dagli evangelisti e che serve appunto a collegare il nuovo “svelamento” a cui stiamo per assistere al precedente, per capire sempre più che ciò che rende luminosa la vita del maestro e dei discepoli è appunto il dono della vita. E’ suggestivo leggervi anche un rimando al libro della genesi, al sesto giorno della creazione, al giorno in cui vengono alla luce l’uomo e la donna “a immagine e somiglianza di Dio”, cioè portatori della sua stessa identità, che il Figlio, il prediletto in cui la compiacenza del giorno della creazione arriva a compimento, rivela pienamente, in quel dono di sé che rende sublimi le relazioni.
“E fu trasfigurato davanti a loro”: lo videro in tutta la sua luce… Il brano rimanda certamente a quell’esperienza di un’energia straordinaria di cui gli apostoli si sentirono investiti dopo la crocifissione e in cui seppero riconoscere la presenza del maestro, risuscitato, reso vivo per sempre dallo Spirito, capace di imprimere, come già in vita, un’altra direzione alla loro esistenza e questa volta per sempre, senza più paure o tentazioni di tornare indietro. Se lo scienziato ci offre come chiave di volta per la comprensione della storia dell’universo la teoria dell’evoluzione, e il prammatico quella dello sviluppo tecnologico… il credente la coglie proprio in questo processo di trasfigurazione in cui tutto e tutti siamo coinvolti, in misura diversa e a volte in maniera apparentemente incompiuta, attraversando la valle del pianto o incappando in una morte brutale, ma fortemente ancorati alla certezza che stiamo trasfigurandoci, divinizzandoci… e già da oggi, pur in mezzo alle tenebre, noi possiamo vivere da figli della luce, quali saremo per sempre.
“Ascoltate Lui!”. Ancora una volta la modalità per entrare nella vita che divinizza è quella dell’”ascolto”, espressione che qui viene usata nel senso forte di obbedire, seguire, in definitiva vivere con lo stile del Maestro. Anche Mosè e Elia (personificazioni della Legge e delle scritture profetiche) conversano con lui, si parlano e si ascoltano e così entrano sempre più, ciascuno secondo il proprio compito nel disegno di Dio. Sta a noi oggi, mentre religioni e chiese stanno esaurendo il loro ruolo storico, riscoprire questa sorgente di trasfigurazione che è il conversare con lui, il metterci in ascolto certamente di Mosè e di Elia, ma anche delle voci di chi ci vive accanto e dei molti volti luminosi, attraverso i quali il divino ci affascina e appassiona e ci incoraggia a intraprendere vie di vera fraternità, fino a perdere la vita per gli altri.
“E’ bello per noi stare qui” osserva Pietro che, appagato da quella visione, vorrebbe fermarla per sempre nel tempo: “Facciamo tre capanne”… come facciamo noi oggi con i nostri telefonini con cui trasformiamo
subito momenti pieni di vitalità in sterili ricordi… mute fotografie. Vorrei anche oggi, all’interno del cammino sinodale, applicare quest’immagine alla vita della nostra comunità parrocchiale. Ci sono realtà che hanno vissuto esperienze bellissime di incontro con il Signore e di vita comunitaria e hanno costruito la loro capanna in cui fissare per sempre questa esperienza… e così la parrocchia si è trasformata in una baraccopoli di esperienze parallele e a volte concorrenziali (la capanna dei neocatecumenali, del rinnovamento, dei francescani, dei gruppi famiglia, degli amici del parroco di turno, degli anziani, dei giovani, dei fanatici della loro esclusività…), da cui non si riesce a venir fuori. Ci farebbe bene far risuonare in profondità l’invito rivolto ad Abramo: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre”… Esci dalla capanna che hai costruito intorno alla tua esperienza… quella che ha rappresentato nel passato una pregevole novità ha bisogno di rinnovamento per stare al passo con lo Spirito (vedi la prima riflessione di Padre Raniero Cantalamessa per questa quaresima). Usciamo ciascuno dalla nostra capanna e saliamo insieme alla tenda dell’ascolto per ridiscenderne insieme nelle pianure quotidiane… come ci dice Papa Francesco nel suo messaggio per la Quaresima: “Anche il percorso sinodale non deve illuderci di essere arrivati quando Dio ci dona la grazia di alcune esperienze forti di comunione. Anche lì il Signore ci ripete: «Alzatevi e non temete». Scendiamo nella pianura, e la grazia sperimentata ci sostenga nell’essere artigiani di sinodalità nella vita ordinaria delle nostre comunità”.
Buona domenica, fra’ Mario.
P.S.: Giovedì prossimo, 9 marzo, alle ore 19 ci sarà la quinta adorazione sinodale sul tema: Dio non fa preferenza di persone: è il Signore di tutti. Vorrei che questa riflessione arrivasse a tutti i componenti delle varie realtà parrocchiali e che giovedì provassero a partecipare soprattutto colo che non l’hanno mai fatto.

DESERTO E CAROVANE

Abbiamo iniziato col mercoledì delle ceneri il periodo più intenso del nostro anno liturgico: i 90 giorni della Quaresima e della Pasqua… un bel tratto di cammino di cui non dobbiamo smarrire il significato profondo: non affrontiamo i 40 giorni della quaresima semplicemente per purificarci dai peccati e prepararci alla festa di Pasqua ma per arrivare alla fine dei 50 giorni pasquali da persone che hanno dentro tutto un altro spirito e sono quindi capaci nella vita di tutto un altro passo.
La prima domenica di quaresima ci offre la pagina evangelica cosiddetta delle ‘tentazioni di Cristo’ nella versione dell’evangelista Matteo.
Questa pagina è arrivata a noi dopo secoli in cui ne ha prevalso nella nostra chiesa una lettura ascetico moralistica: il grande nemico di Dio, il diavolo, istiga gli uomini a fare il male… bisogna resistergli con tutte le forze e tutti gli sforzi, perché solo chi resiste, così come ha fatto Cristo, verrà premiato. Ma è davvero questo il senso di questa pagina?
Il Vangelo di Matteo, scritto per una comunità di giudeo cristiani, si serve dell’evocazione di eventi e profezie del passato per far comprendere in che modo la vicenda di Gesù possa essere considerata il compimento del cammino passato e l’apertura di nuovi orizzonti… le prove vissute dal popolo d’Israele nel deserto all’epoca dell’esodo, riconducibili alla grande tentazione dell’idolatria, intesa sia come infedeltà all’unico Dio e adorazione degli idoli, sia come adorazione di se e dei propri beni, sono superate definitivamente da Gesù, il “Figlio prediletto”, determinato a vivere nella piena fedeltà al Padre, guidato dalla sua parola accolta senza fraintendimenti e compromessi, libero da passioni inutili per dedicarsi completamente al bene degli altri.
L’attraversamento del deserto, inteso come prova, non sta allora a significare che questa vita è una “valle di… trappole”, ma che la possibilità di una vita libera dal male e orientata a obiettivi luminosi la si costruisce giorno per giorno nella fedeltà alla Parola di Dio e nella capacità di assumersi le proprie responsabilità quando c’è da scegliere tra cose di poco conto e cose che contano davvero.
Mi avvicina al senso di questa pagina anche la conoscenza degli Esseni, questi ‘monaci’ austeri con cui Giovanni il Battista e lo stesso Gesù furono in contatto nei periodi di permanenza nel deserto di Giuda. Si erano ritirati nel deserto per vivere solo della Parola di Dio, in uno stile di vita sobrio e privo di cose superflue, detestavano le grandi istituzioni religiose, esibizione di potere e di autocelebrazione, evitavano le ricchezze e condividevano il frutto del loro lavoro… Sappiamo poco di Gesù come ‘uomo del deserto’, d’altronde gli scritti su di lui si occupano più della sua attività di predicatore itinerante, ma indubbiamente anche qui per noi c’è qualcosa di importante da imparare… non si raggiunge una vera libertà e non si comincia a costruire la propria vita non sulle ‘passioncelle’ ma sui grandi desideri senza essere un po', soprattutto nella vita di oggi, “uomini di deserto”.
Il deserto, in ultimo, mi fa pensare anche alle grandi carovane… la lettura ascetico-moralistica finisce per forza di peccare anche di individualismo (io e la mia lotta contro le tentazioni)… ma il miglior modo di affrontare le prove del deserto è quello di viaggiare in carovana… il “cammino sinodale” è il miglior modo per evitare le tentazioni dell’autoreferenzialità e dell’autocelebrazione… il viaggiare da soli o in compagnia solo di quelli che ci stanno bene, con la presunzione di camminare meglio degli altri è preludio di forme di desertificazione quali lo svuotamento interiore, la perdita di motivazioni e di entusiasmo, l’incapacità di relazioni profonde con gli altri, il prolungamento ripetitivo e devitalizzato di modi di essere e di fare ormai al limite dello stantio. Quante resistenze e tentazioni impediscono alla nostra parrocchia di trasformarsi in una “carovana solidale”? (EG87).
Buona prima settimana di Quaresima. Mario.
Auguri Natale

Lo scorso anno, ci siamo scambiati gli auguri con una certa sobrietà, a motivo della pandemia in corso, con tante persone affette dal covid19, di cui molte in pericolo di vita e decedute. Tutti desideravamo che la situazione migliorasse al più presto, grazie ai vaccini o a terapie più adeguate (come del resto sta accadendo quest’anno), ma non immaginavamo certo che questo Natale l’avremmo passato ancora più problematicamente, coinvolti in una guerra, e le cui conseguenze le stanno pagando soprattutto le persone più povere o in situazioni di precarietà.
Non possiamo farci degli auguri dimenticando quanto sta avvenendo intorno a noi, o continuando a programmare come sempre le vacanze invernali quasi proprio per non pensarci... Nella nostra chiesa gli “amici presepisti” hanno voluto realizzare un presepio che riflettesse la realtà che stiamo vivendo e ci facesse leggere la commemorazione della nascita di Gesù come un segno di speranza, e per il quale ho preparato questa didascalia.
“Il Presepe, senz’altro è un modo poetico, più o meno attendibile, di rappresentare come possa essere avvenuta la nascita di Gesù, ma ancor di più è far arrivare a ciascuno, nell’oggi della vita, l’annuncio della vicinanza di Dio, che non risolve magicamente tutti i nostri problemi, ma ci fa intravedere la possibilità di nuove prospettive, se ci rendiamo disponibili a camminare nella luce della sua parola, con il cuore aperto verso ogni persona.
Non potevamo, dunque, quest’anno non collocare questo annuncio dentro la pagina amara di storia che stiamo vivendo, questa “terza guerra mondiale ‘a pezzi’, …‘totale’, in cui i rischi per le persone e per il pianeta sono sempre maggiori…”, come sottolinea Papa Francesco.
La “città degli uomini” si trasforma ogni giorno di più in un cimitero, per le vittime della guerra, della fame, dell’attraversamento in condizioni disumane di mari e confini…
Eppure, noi continuiamo a coltivare il sogno di poter abitare la “città che viene da Dio”, che sono chiamati ad edificare sulla terra gli uomini amati dal Signore, appassionati “artigiani di pace”, instancabili tessitori di relazioni fraterne, promotori inesauribili della dignità di ciascuno.
Con il Bambino Gesù, ogni bambino che nasce e ogni adulto che torna bambino (rinasce) possono essere germoglio che rivitalizza un tronco inaridito.”
Come affrontare e provare a superare le conseguenze di questa guerra e della pandemia? Ho estrapolato dal messaggio di Papa Francesco per la prossima Giornata Mondiale per la Pace del 1 gennaio 23, queste interessanti e impegnative indicazioni.
“Cosa, dunque, ci è chiesto di fare? Anzitutto, di lasciarci cambiare il cuore dall’emergenza che abbiamo vissuto, di permettere cioè che, attraverso questo momento storico, Dio trasformi i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un “noi” aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune.
Per fare questo e vivere in modo migliore dopo l’emergenza del Covid--19, non si può ignorare un dato fondamentale: le tante crisi morali, sociali, politiche ed economiche che stiamo vivendo sono tutte interconnesse, e quelli che guardiamo come singoli problemi sono in realtà uno la causa o la conseguenza dell’altro. E allora, siamo chiamati a far fronte alle sfide del nostro mondo con responsabilità e compassione. Dobbiamo rivisitare il tema della garanzia della salute pubblica per
tutti; promuovere azioni di pace per mettere fine ai conflitti e alle guerre che continuano a generare vittime e povertà; prenderci cura in maniera concertata della nostra casa comune e attuare chiare ed efficaci misure per far fronte al cambiamento climatico; combattere il virus delle disuguaglianze e garantire il cibo e un lavoro dignitoso per tutti, sostenendo quanti non hanno neppure un salario minimo e sono in grande difficoltà. Lo scandalo dei popoli affamati ci ferisce. Abbiamo bisogno di sviluppare, con politiche adeguate, l’accoglienza e l’integrazione, in particolare nei confronti dei migranti e di coloro che vivono come scartati nelle nostre società. Solo spendendoci in queste situazioni, con un desiderio altruista ispirato all’amore infinito e misericordioso di Dio, potremo costruire un mondo nuovo e contribuire a edificare il Regno di Dio, che è Regno di amore, di giustizia e di pace.”
Una terza attenzione, dopo guerra e pandemia, siamo chiamati a dedicarla al “cammino sinodale” che stiamo percorrendo forse non tutti ancora coinvolti pienamente, ma che sicuramente cambierà il nostro modo di essere Chiesa nei prossimi anni. Siamo ancora nella fase dell’ascolto di tutti… A nessun Sinodo si è mai arrivati con una consultazione così capillare della ‘base’ e degli ‘esterni’ e questo già ci fa presagire una Chiesa meno arroccata su se stessa, meno desiderosa di distinguersi ma più aperta ed inclusiva, senza svendere il proprio patrimonio, ma rileggendolo e mettendolo a servizio di esperienze che creino più fratellanza tra gli uomini.
Siamo chiamati, e questo mi sembra essere il messaggio del Natale, del Dio che si fa Emmanuele, cioè che cammina con noi, a sintonizzare il nostro passo:
con quello dello Spirito di Dio e delle novità che sorprendentemente ci apre davanti, spingendoci verso ciò che non abbiamo mai tentato;
con quello di tanta umanità sofferente, da ascoltare ma anche a cui rispondere con un accompagnamento fianco a fianco, profondamente umano, capace di restituire dignità;
con quello di coloro con cui ci sembra già di camminare insieme tutti i giorni (comunità parrocchiale e diocesana, quartiere), dove spesso all’incontro si preferisce lo sfiorarsi, convivenza di nicchie piuttosto che osmosi di doni.
Un augurio cordiale e fraterno dal Parroco e i collaboratori.
Pasqua 2022

Carissimi fratelli e sorelle,
questa notte ho iniziato la riflessione a partire dal testo del profeta Baruc, proposto come sesta lettura, “Se tu avessi camminato nella via di Dio, avresti abitato per sempre nella pace. Impara dov’è la prudenza, dov’è la forza, dov’è l’intelligenza, per comprendere anche dov’è la longevità e la vita, dov’è la luce degli occhi e la pace. Ma chi ha scoperto la sua dimora, chi è penetrato nei suoi tesori?”.
In questo testo c’è una possibile pista di lettura della situazione che stiamo vivendo: quando non cammini nella via di Dio allora non sai più dove sono di casa la pace, la vita, l’intelligenza, la luce…
Ed è proprio questo il senso del nostro ritrovarci insieme nel giorno di Pasqua: per ritrovare la via di Dio, per sapere dove sono di casa la pace e la vita autentica.
Il Vangelo di oggi, letto liberandosi dalle inculturazioni trionfalistiche e dalle derive devozionali del passato, ci annuncia che tanto la croce quanto la tomba di Gesù sono vuote… ossia che la morte (in tutte le sue forme) non abita più proprio dove dovrebbe essere la padrona di casa.
Gesù ha percorso la via di Dio donandosi totalmente per gli altri, come nessun altro ha saputo fare (pienamente divino), come tutti dovremmo fare (pienamente umano)… Si proprio questa è la via di Dio in cui sono di casa la pace e la vita, e su cui violenza (ambizione e arroganza) e morte (egoismo e chiusure) non hanno più presa.
A ciascuno di noi allora ritrovare quella strada in cui pienamente divino e autenticamente umano coincidono, per fare del mondo la casa in cui abitano quella pace e fraternità, che non possono offrire sviluppo tecnologico, strategie economiche o armamenti sofisticati.
BUONA PASQUA A TUTTI!
Fra’ Mario.